La musicoterapia e’ una risorsa terapeutica non tradizionale, che va ad integrare le discipline riguardanti la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione di diverse forme di disabilità come pure il campo della salute mentale.
Musicoterapia – Nozioni
by Enzo de Ruvo
La musicoterapia è una risorsa terapeutica non tradizionale, che va ad integrare le discipline riguardanti la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione di diverse forme di disabilità come pure il campo della salute mentale. La cornice teorica di riferimento dei musicoterapeuti può variare. Il musicoterapeuta esegue il suo compito prendendo come punto di riferimento un corpo teorico interdisciplinare e usando le sue conoscenze scientifiche per conseguire obiettivi non musicali che scaturiscono dalla convergenza dei diversi approcci proposti, in particolare, da un’ èquipe di riabilitazione.
La musicoterapia si basa quindi su una visione dell’ uomo secondo la quale l’ interazione corporeo-sonoro-musicale lo abbraccia come una totalità bio-psico-sociale e spirituale. Il musicoterapeuta utilizza la musica e le sue componenti costitutive, il suono, il silenzio e il movimento, come risorse essenziali per il conseguimento di obiettivi terapeutici, tanto a livello psicologico che a livello fisico. Bisogna distinguere tra musicoterapia attivo/espressiva e musicoterapia recettiva. Nella prima si utilizzano semplici strumenti musicali che non richiedono alcuna competenza tecnica, per costruire un dialogo sonoro in grado di facilitare l’ espressione dei vissuti emotivi, aumentando così la consapevolezza di sé, l’ autostima, l’ equilibrio tra le tensioni interne, la creatività. La seconda invece è una pratica che può consistere semplicemente nell’ ascolto di musiche, con lo scopo di giungere al rilassamento o magari di accompagnare pratiche di meditazione; ma anche in prassi più complesse a sfondo simbolico o analitico nelle quali i brani musicali opportunamente scelti, hanno il fine di stimolare sensazioni, emozioni, immagini mentali, ricordi, pensieri.
La musicoterapia si basa sull’ uso di facoltà umane che esistono in tutti i popoli e in tutti i tempi e la sua finalità principale è sempre l’armonizzazione della personalità dell’ individuo. Il lavoro musicoterapeutico proposto si basa sull’ ipotesi secondo cui la percezione e l’espressione musicale permettano un grado di registrazione e di connessione con la realtà interna ed esterna diverso da quello della percezione ed espressione verbale. Un processo adeguato di integrazione di entrambe le modalità di espressione permette una sintesi e un insight che favoriscono la presa di coscienza delle proprie potenzialità, ai fini di un’ interazione creativa con l’ altro e con il contesto. In questo modo viene offerto uno spazio di crescita personale non a partire dai “no” e dal “non essere capace” ben noti, bensì a partire dai “sì” ancora sconosciuti.
Musicoterapia – Musica e Cervello
Con lo studio di determinati casi clinici ove delle persone hanno avuto dei particolari danni in specifiche zone del cervello, si può disporre ai giorni nostri di un’ importante mappa del cervello stesso che ci permette di capire la sua funzionalità e anatomicità. A livello musicale secondo degli studiosi di scuola cognitivista c’è un funzionamento generale del cervello che sviluppa una abilità globale per la musica, pertanto quando si suona si attiva tutta una rete neuronale, anche se bisogna tener conto di una localizzazione in un’area specifica. D’altro canto è interessante sentire il parere di uno studioso come H. Gardner il quale sostiene che l’intelligenza musicale sia soltanto una dei 9 tipi di intelligenza e ognuno ha più facilità ad esprimere e sviluppare 1 o 2 tipi di intelligenza ma può comunque portare avanti o sviluppare anche le altre se ha gli stimoli favorevoli. Egli considerava la musica come un’espressione distinta dell’intelligenza, una variante delle altre facoltà come ad esempio quella linguistica, matematica, spaziale, cinestetico-corporea, personale. Quindi il cervello si svilupperebbe in uno di questi settori indipendentemente dalle altre risorse. Per fare un esempio, un autistico potrebbe essere abilissimo in operazioni matematiche e invece un musicista un pessimo matematico. Dunque secondo il suo pensiero pare che la musica risieda in un’area specifica programmata geneticamente, con la funzione di assicurare un reparto specializzato addetto alla musica stessa e a seconda degli stimoli che si ricevono si attivano dei circuiti neuronali specifici. C’è una MODULARITA’ molto precisa che una volta attivata è prevalente sulle altre.
Di diverso parere in merito invece ci sono gli specialisti cognitivisti che affermano come la musica possa “allenare l’intelligenza” lavorando sulle funzioni generali del cervello attivando tutta una serie di elementi collegati ad altre funzioni essenziali e non. Ad esempio ascoltando musica o cantando si faciliterebbe la comprensione del linguaggio con un processo che verrebbe messo in atto con un meccanismo di sostituzione, cioè poiché (in questo caso) il cervello non è programmato geneticamente per la musica, essa quindi si appoggerebbe alle vie più adatte per svolgere le funzioni richieste. Il cervello dunque potrebbe compensare una mancanza biologica con circuiti di ricambio in modo diverso da individuo a individuo.
Il cervello è inoltre possibile studiarlo anche attraverso specifici rivelatori a filtri chiamati TEP (che registrano l’aumento di flusso sanguigno in risposta all’accresciuto fabbisogno di ossigeno nella regione cerebrale attivata), oppure con l’ elettroencefalogramma che tramite degli impulsi elettrici ci evidenzia le aree cerebrali attivate. Tramite questi apparecchi tecnologici si è potuto vedere che i centri stimolati dalla percezione della musica sono diversi rispetto a quelli del linguaggio. Si è visto che a seguito di danni a queste aree si possono avere disturbi come l’ afasia (alterazione totale della capacità di comprendere e usare i simboli verbali, cioè di tradurre le parole in pensiero e viceversa) e l’ amusia (alterazione totale di comprendere e/o produrre rispettivamente la parola scritta, letta, i calcoli matematici e la musica). Quindi è vero che ci sono delle aree specifiche del cervello addette alla musica ma è anche vero che quando si suona si attiva tutta una rete neuronale, pur tenendo conto di una localizzazione in un’ area specifica. Dunque musica e cervello: qual è il motivo di questo strano binomio? Ci sono delle ragioni particolari perché centinaia di scienziati in tutto il mondo dirigano le loro ricerche proprio su questo argomento? La risposta, naturalmente, è scontata. Il rapporto fra musica e cervello c’è, ed è importantissimo. Perché la musica è una disciplina che coinvolge non solo il lato artistico della personalità, ma anche quello più profondamente razionale. Note e accordi sono, in fondo, precisi valori matematici che, uniti sotto il segno di una geometria acustica nota più propriamente come “armonia”, danno vita a questo straordinario linguaggio. E’ quindi evidente che lo studio e la pratica della musica, che coinvolgono in maniera indiretta tante altre discipline, è uno strumento di crescita eccellente, un “allenamento” continuo della mente. Negli studi che sono stati fatti credo sia importantissimo evidenziare le ricerche sulla lateralizzazione emisferica. Il sistema nervoso umano è costituito anche da canali uditivi omolaterali e crociati e la ricercatrice Doreen Kimura ha sottolineato che nella maggior parte del nostro ascolto, e in particolare nel cosiddetto ascolto dicotico (quando ci sono messaggi discordanti che arrivano alle orecchie con l’ utilizzo di cuffie), le vie controlaterali diventano predominanti rispetto alle omolaterali. In altri termini se un ascoltatore dopo un’applicazione dicotica manifesta una migliore capacità di ricezione dell’informazione da un orecchio piuttosto che da un altro, si può dedurre che l’emisfero controlaterale risponda con maggiore efficienza agli stimoli ricevuti.
La percezione della musica non è un processo singolo, poichè prevede l’integrazione a livello cosciente di alcuni elementi, come il timbro, il tono, il ritmo e l’impressione della familiarità del brano: la percezione di tali componenti presenta una correlazione anatomica e clinica a livello corticale. In merito alla lateralizzazione degli emisferi alcuni studi effettuati con la Positron Emission Tomography (PET) in soggetti sani (Lechevalier B, 1997; Platel et al, 1997) hanno dimostrato la specificità dell’emisfero sinistro per la percezione del ritmo, il senso di familiarità del brano e l’identificazione di un pezzo musicale. L’emisfero destro è responsabile della percezione del timbro e della melodia. Inoltre è stato dimostrato sorprendentemente un ruolo fondamentale svolto dalle aree visive primarie nella percezione del tono, e dalle aree frontali in particolare l’area di Broca nella percezione del ritmo. E’ stata inoltre riscontrata, sempre dagli stessi studi, un’ asimmetria dell’ emisfero sinistro nel riconoscimento di singole note mentre una superiorità funzionale di quello destro per gli accordi. Attualmente dunque, con gli studi e le ricerche che abbiamo possiamo affermare che abbiamo più localizzazioni delle facoltà musicali in entrambi gli emisferi cerebrali. Quindi fra le ipotesi sulle differenti scuole di pensiero e fatto ricorso alle numerose fonti di informazione quali la biologia, l’etnologia, la filosofia, la psicologia, la musicologia e le neuroscienze possiamo dire di prefigurare un modello cerebrale di tipo “isolabile”, nel senso che mette in gioco un dispositivo specifico e per “isolabile” si farebbe riferimento alla modularità accennata in precedenza con le attività musicali autonome rispetto alle altre risorse e fornite da sistemi neuronali a esse riservate. Di tutto rilievo assume la storia di un musicista di nome Vissarion Sebalin che in seguito ad un’emorragia dell’emisfero sinistro divenne incapace di comunicare e comprendere verbalmente. La sua era una grave forma di afasia, ma nonostante questo egli continuò a suonare per altri quattro anni (fino alla sua morte), lavorando con i suoi allievi correggendo e ascoltando le loro composizioni. Lui stesso compose delle musiche bellissime e venne asserito che la sua musica, malgrado lui si trovasse in questa fase, non si distingueva da quella che faceva precedentemente. Questa storia metterebbe in luce l’esistenza di un “cervello musicale” che non sarebbe stato toccato. Evidentemente i circuiti neuronali addetti alle attività musicali non sono stati coinvolti nell’emorragia cerebrale.
Fra i recenti studi ci terrei a citare anche il professore e medico chirurgo otorinolaringoiatra Alfred Tomatis che dopo anni di studi e ricerche sull’audizione, il linguaggio e la comunicazione mise in evidenza una relazione tra orecchio, linguaggio, cervello e psiche. Egli analizzò un campione di soggetti che svolgevano le proprie attività lavorative in ambienti particolarmente rumorosi e osservò che le frequenze dei suoni che l’ orecchio non riusciva a percepire, erano le stesse che la voce non riusciva a emettere. Tomatis proseguì i suoi studi e fece altre ricerche su un campione di soggetti più grande e variegato (tra cui anche cantanti) e notò che questa era una caratteristica generale valida per qualsiasi soggetto. Cioè la persona non è in grado di riprodurre con la voce quelle frequenze che non è in grado di udire e ogni modificazione dello schema uditivo comporta una modificazione dello schema vocale. Quindi Tomatis andava a stimolare l’audizione sonora con speciali tecniche col fine di migliorare il funzionamento dell’orecchio, della comunicazione verbale e il controllo motorio. Egli come metodo di rieducazione usava una speciale apparecchiatura chiamata ORECCHIO ELETTRONICO, che consisteva nell’ascolto di musiche filtrate ed elaborate appositamente per far sì da poter percepire quelle frequenze che normalmente non si percepiscono. La sua filosofia era : “insieme all’orecchio tutto il corpo ascolta”, cioè una persona che ascolta bene diventa cosciente della propria postura e durante il training audiovocale acquisisce una CORRETTA POSTURA d’ascolto. Sviluppa una schiena dritta ma non rigida, la testa prende la giusta distanza dalle spalle con collo e mascella rilassati, il torace si apre per favorire un’ampia respirazione. Studiando le molte funzioni dell’orecchio umano, asserì che esso è UN SISTEMA PER PRODURRE LA RICARICA CORTICALE E FAVORIRE IL POTENZIALE ELETTRICO DEL CERVELLO. Il suono è trasformato in stimolo nervoso dalle cellule dell’Organo del Corti nell’orecchio interno, inviato alla corteccia cerebrale e da lì all’intero organismo per dimezzarlo e tonificarlo. In termini di terapia lui consigliava questo metodo di ascolto a molte persone con problemi tra i più variegati : dalla depressione alla stanchezza cronica, dall’abbassamento dell’attenzione e capacità di concentrazione al rafforzamento della memoria, da persone che hanno subito danni neurologici a problemi fisici che sfociano in un abbassamento generale dell’energia. Un ricercatore canadese, H.A. Stutt, ha concluso che il Programma di Ascolto Tomatis produce benefici al di là di ciò che ci si può aspettare dalla maturazione e dall’educazione di sostegno. I benefici menzionati da Stutt includono:
- Un aumento significativo del Q.I.
- Miglioramento nella lettura
- Miglioramento nell’elaborazione percettiva
- Incremento delle abilità scolastiche
- Senso di adattamento generale
- Sviluppo delle capacità comunicative
- Migliorata capacità ad esprimere verbalmente pensieri e sensazioni
Quindi concludendo possiamo dire che grazie ai molti studi e ricerche fino ad ora fatti abbiamo a disposizione oggi delle scoperte che ci permettono di assaggiare questa realtà cioè di come la musica con le sue vibrazioni e frequenze sia legata in qualche modo al cervello (o quantomeno alle piccole aree ad essa riservate). Sicuramente il tema è ancora aperto e in evoluzione. Molti scienziati e studiosi sono convinti che fra qualche tempo delle nuove scoperte e delle nuove tesi nasceranno e si aggiungeranno alle conoscenze che già abbiamo. Gli accesi dibattiti insomma non dovrebbero mancare e per chi è interessato e vorrebbe ampliare la materia di studio, non resta che aspettare ancora un pò.
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