Osho Rajneesh

Osho Rajneesh (vedi wikipedia) è un mistico contemporaneo la cui saggezza e le cui intuizioni hanno toccato il cuore di innumerevoli persone di ogni età,  livello sociale e di istruzione. 

Osho ha insegnato filosofia all’università di Jabalpur e ha fondato la comunità di Pune, in India, famosa in tutto il mondo come centro di meditazione. 

Osho – alcune letture

Yoga a Trento - Saggi Contemporanei - Osho Rajneesh 01Leggiamo cosa diceva Osho riguardo alla figura del maestro spirituale:

“Ci sono tanti tipi di amore, ma l’amore tra maestro e discepolo è il più puro: non è contaminato da nessun tipo di aspettative, pretese, condizioni. Il maestro ti accetta esattamente come sei, senza alcun desiderio di fare di te qualcosa di diverso e tu ami il Maestro perchè ti dà, per la prima volta nella tua vita e nelle tue relazioni, la libertà di essere te stesso, senza paura e senza sensi di colpa.

La relazione maestro/discepolo è la relazione tra il bruco e la farfalla: la farfalla non può dimostrare che il bruco può diventare una farfalla, non c’è una via logica per provarlo, ma può provocare un anelito nel bruco, questo è possibile… Il maestro ti aiuta ad acquisire la tua personale esperienza, non ti da i Veda, il Corano, la bibbia. Ti lascia a te stesso, ti rende consapevole delle tue risorse interiori, della tua linfa, della tua stessa divinità; ti libera dalle sacre scritture, ti libera dalle interpretazioni degli altri, ti libera da tutti i credo, ti libera dalle speculazioni, dalle ipotesi, dalla filosofia, dalle religioni e dalla teologia. In breve, ti libera dal mondo delle parole, che sono il problema reale. 

Il maestro ti libera dalle parole, ti libera da ogni genere di immaginazione filosofica e ti porta a uno stato di silenzio senza parole. Il fallimento della religione e della filosofia sta nel fatto che sono diventate surrogati dell’esperienza reale. Fai attenzione! Le vie del Maestro sono strane… e avere un Maestro significa vivere accanto a un mistero, un Maestro è un mistero: vive sulla terra  ma non ne fà parte; è nel corpo, ma non è il corpo; usa la mente, ma non è la mente: è nel tempo, ma appartiene al trascendente, conosce la vita eterna. visto dall’esterno è asattamente come te: se ha fame, mangia, se ha sete beve, se ha sonno, dorme, proprio come te, ma nel suo nucleo più intimo è completamente diverso, perchè vive in un mondo totalmente diverso, in uno spazio del tutto diverso. per comprendere il suo mondo interiore, dovrai crescere nella tua stessa interiorità, questo è l’unico modo. puoi comprendere solo fino a quel punto: più in profondità entrerai in te stesso, più profondamente comprenderai il maestro. quando avrai raggiunto il nucleo più intimo del tuo essere, conoscerai il maestro nella sua assoluta perfezione, altrimenti fraintenderai …”

Osho – Maestro di te stesso

Yoga a Trento - Saggi Contemporanei - Osho Rajneesh 02Una persona davvero religiosa, secondo Osho, è consapevole della futilità del desiderio, dell’impossibilità di ottenere qualcosa qui, in questo mondo, o nel futuro, nell’aldilà. Secondo Osho puoi possedere solo te stesso, puoi essere soltanto il padrone e il maestro del tuo stesso essere; e se non ti impegni per questo…

E’ un lavoro arduo e non esistono scorciatoie. La meta è trovare la libertà, ma bisogna diventare maestri del proprio essere, maestri della propria consapevolezza: questo è l’inizio, il primo passo.tu non sei il maestro della tua consapevolezza: sei schiavo di migliaia di desideri, pensieri, fantasie.ti lasci trascinare da una parte all’altra. non sai chi sei e dove stai andando. non sai affatto perchè esisti. non conosci lo scopo della tua vita, nonhai alcun senso della direzione: come puoi essere maestro di te stesso?

La prima cosa per diventare maestro di te stesso, insegna Osho, è diventare più consapevole delle tue azioni e dei tuoi pensieri. l’inconsapevolezza è schiavitù … Osho ha chiamato i propri discepoli swami, che significa “il maestro”, il padrone. Osho indica semplicemente una persona che sta cercando di diventare centrata nel proprio essere, radicata nella sua consapevolezza; sta cercando di non lasciarsi trascinare dai desideri contro la sua volontà.ma i desideri sono molto subdoli e l’ego fa giochetti incredibili per cui, a meno che tu non sia costantemente allerta, rimarrai uno schiavo.la vita è vuota, vana, senza significato per chi non è maestro di se stesso. Non puo avere poesia, non può avere alcuna gioia nè estasi. e l’estasi e la gioia sono un tuo diritto di nascita, ma puoi ottenerle solo quando giungi a essere degno, a una sublime dignità. Diventa consapevole, fidati, inizia a osservare, lascia andare le credenze e i dubbi e la meta non è lontana.non devi andare da nessuna parte: se riesci a fidarti, a meditare, a vedere; se sei in grado di risvegliarti alla legge universale, sei un maestro. non il maestro di qualcun altro, ma il maestro di te stesso e questa è la vera essenza dell’essere un maestro.

 

Cosa fa l’anima dopo la morte?

Noi abbiamo familiarità con il corpo concreto, fisico; uno yogi ha familiarità con il corpo sottile e chi va oltre lo yoga entra in contatto con l’anima…

 

Un raro brano di Osho apparso su Osho Times n. 245

Osho, l’altro giorno hai detto che un uomo e una donna insieme costituiscono un’opportunità di crescita per la loro anima e questo implica che ci sono molte anime separate e non un’anima universale. Però in diverse occasioni hai detto che esiste una sola verità, un unico dio e una sola anima. Queste affermazioni non sono in contraddizione tra loro?

 

Non c’è contraddizione. Certo, dio è uno. Anche l’anima è essenzialmente una, ma il corpo è essenzialmente di due tipi. Uno è il corpo fisico che possiamo vedere, l’altro è il corpo sottile, che non possiamo vedere. Al momento della morte, il corpo fisico decade, mentre quello sottile rimane intatto. L’anima risiede in due corpi, il corpo sottile e il corpo fisico. Al momento della morte il corpo fisico muore. Il corpo fatto di terra e acqua, fatto di carne, ossa, midollo, viene meno, muore. Successivamente, il corpo composto di pensieri sottili, sentimenti sottili, vibrazioni sottili, filamenti sottili, rimane. Questo corpo, formato da tutti questi elementi sottili, prosegue il viaggio insieme all’anima ed entra nuovamente in un corpo fisico, per rinascere. Quando una nuova anima entra nell’utero materno, ci entra anche il corpo sottile. Nel momento della morte solo il corpo fisico si annienta, non quello sottile. Ma quando avviene l’ultima morte, ciò che chiamiamo moksha, il corpo sottile si disintegra insieme a quello fisico. Non c’è più rinascita per quell’anima. L’anima diventa una cosa sola con il tutto. È un evento che accade solo una volta. È come una goccia che raggiunge l’oceano.

Sono tre le cose che vanno comprese. La prima, è che esiste un “elemento dell’anima”. Quando i due tipi di corpo, quello fisico e quello sottile, entrano in contatto con l’elemento dell’anima, entrambi si attivano. Noi abbiamo familiarità con il corpo concreto, fisico; uno yogi ha familiarità con il corpo sottile e chi va oltre lo yoga entra in contatto con l’anima. Qualsiasi occhio è in grado di vedere il corpo fisico, gli occhi yogici sono capaci di vedere il corpo sottile. Ma ciò che sta oltre lo yoga, che esiste oltre il corpo sottile, si può esperire solo nel samadhi. Chi va oltre la meditazione raggiunge il samadhi ed è nello stato del samadhi che si può sperimentare il divino. L’uomo ordinario ha esperienza del corpo fisico, lo yogi di quello sottile, lo yogi illuminato ha esperienza del divino. Dio è uno, ma esistono infiniti corpi sottili e infiniti corpi fisici. Il corpo sottile è il corpo “causale” ed è questo corpo che si fa carico di quello fisico. 

È come avere tante lampadine. La fonte elettrica è una sola, l’energia è una sola, ma si manifesta attraverso diverse lampadine. Le lampadine hanno corpi diversi, ma la loro anima è una sola. Allo stesso modo, la coscienza che si manifesta attraverso di noi è una, ma nel manifestarsi usa due mezzi. Uno è il mezzo sottile, il corpo sottile; l’altro è il mezzo concreto, il corpo fisico.

La nostra esperienza è limitata al concreto, al corpo fisico. Questa mancanza di esperienza è la causa di tutta l’infelicità e ignoranza degli esseri umani. E ci sono persone che, pur andando oltre il corpo fisico, si fermano al corpo sottile. Queste sono in grado di dire: “Esiste un numero infinito di anime”. Ma quelle che vanno anche oltre il corpo sottile diranno: “Dio è uno, l’anima è una. Brahman è uno”.

Non c’è contraddizione nelle mie affermazioni. Quando faccio riferimento all’ingresso dell’anima, intendo quell’anima che è ancora associata al corpo sottile. Questo significa che il corpo sottile in cui è avvolta l’anima non si è ancora deteriorato. Ecco perché diciamo che l’anima che ha raggiunto la libertà suprema esce dal ciclo di rinascita e morte. Di fatto non c’è nascita né morte per l’anima: non è mai nata e mai morirà. Il ciclo di nascita e morte si arresta con la fine del corpo sottile, perché è questo che genera una nuova nascita. 

Il corpo sottile è un seme integrato, la cui consistenza è fatta dei nostri pensieri, desideri, istinti, volontà, esperienze, conoscenza. Questo corpo è lo strumento che ci conduce attraverso il nostro viaggio continuo. Ciononostante, per una persona i cui pensieri sono annichiliti, le cui passioni sono svanite, i cui desideri non hanno più consistenza e che non ha più aspirazioni dentro di sé, non c’è un posto in cui andare e non c’è motivo di andare da nessuna parte. Non c’è ragione di rinascere.

C’è una bellissima storia nella vita di Ramakrishna… 

Coloro che gli erano vicini, che sapevano che era un paramhansa, un illuminato, erano profondamente turbati da una cosa. Erano enormemente infastiditi nel vedere una persona illuminata come Ramakrishna, uno che ha raggiunto il samadhi, smaniare tanto per il cibo. Ramakrishna era molto ansioso rispetto al cibo. Spesso entrava in cucina per chiedere a sua moglie, Sharda Devi: “Cosa cucini, oggi? Si sta facendo tardi!”. Altre volte, magari proprio nel mezzo di una discussione seria su argomenti spirituali, si alzava all’improvviso e correva in cucina per vedere cosa c’era o per cercare qualcosa da mangiare. Sentendosi in imbarazzo, Sharda gli diceva, gentilmente: “Cosa stai facendo? Che cosa penserà la gente? Smetti di parlare di Brahman per iniziare a parlare di mangiare!”. Ramakrishna rideva, rimanendo in silenzio. Anche i suoi discepoli più prossimi si lamentavano, dicendo: “Ti stai facendo una brutta nomea. La gente si chiede ‘Come fa una persona che ha raggiunto la conoscenza a essere così invasata dal desiderio di cibo?’”. 

Un giorno sua moglie Sharda si arrabbiò moltissimo e lo rimproverò. 

Ramakrishna le disse: “Tu non lo sai, ma il giorno in cui perderò interesse verso il cibo, significherà che non vivrò più di tre giorni”. 

Sharda chiese: “Cosa intendi?”.

Ramakrishna rispose: “Tutti i miei desideri e le mie passioni sono spariti e tutti i miei pensieri se ne sono andati, ma per il bene dell’umanità, mantengo questo desiderio di mangiare deliberatamente. È come una nave legata con una sola, ultima corda. Quando questa corda si romperà, la nave intraprenderà il suo viaggio senza fine. Sto facendo un grande sforzo per rimanere qui”.

Probabilmente le persone attorno a lui non diedero molto peso a quelle parole, in quel momento. Ma tre giorni prima che Ramakrishna morisse, quando Sharda entrò con un piatto per lui, Ramakrishna lo guardò, chiuse gli occhi e si girò dando le spalle alla moglie. In un attimo lei si ricordò delle parole del marito a proposito della sua morte. Il piatto le cadde dalle mani e iniziò a piangere amaramente. 

Ramakrishna disse: “Non piangere. Desideravi che non bramassi più il cibo e il tuo desiderio è diventato realtà”.

Dopo tre giorni esatti da questo episodio, Ramakrishna morì.

Stava resistendo a fatica grazie a quella piccola fiamma di desiderio. E quella era diventata l’unica ragione per continuare il suo percorso di vita. Con la scomparsa di quel piccolo desiderio, tutto il sostegno cessò di esistere.

Quelli che chiamiamo tirthankara, che chiamiamo buddha, figli di dio, o avatar hanno un solo desiderio. Mantengono il desiderio per pura compassione, per il benessere di tutta l’umanità. Il giorno in cui questo desiderio svanisce, essi cessano di vivere nel corpo e ha inizio un viaggio senza fine verso l’infinito. Da quel momento, non c’è nascita e non c’è morte. Dopo, non c’è niente di più e niente di meno. Quello che rimane dopo non può, in ogni caso, essere quantificato; perciò, anche coloro che sanno non dicono: “Brahman è uno, il divino è uno”. Definire “uno” non significa nulla quando non può seguire il “due”, quando l’uno non può proseguire la sequenza di due e tre. Parlare di “uno” ha senso solo se anche due, tre e quattro possono esistere. “Uno” significa qualcosa solo in relazione agli altri numeri. Ecco perché coloro che sanno non diranno mai che Brahman è uno: dicono che Brahman non è duale, che non è due.

E dicono anche qualcosa di estremamente importante. Dicono: “Dio non è due; non c’è modo di definire dio 

in termini numerici”. Definendolo “uno”, stiamo tentando di contarlo usando i numeri ed è sbagliato. Ma per sperimentare quell’uno, la strada è ancora lunga. Ci troviamo ancora a livello del corpo fisico, del corpo che cambia forma infinitamente. 

Quando entriamo in questo corpo, ne troviamo un altro, il corpo sottile. Andando oltre il corpo sottile, ci avviciniamo a quello che non è un corpo, che è senza corpo: l’anima. Non è contradditorio, non è un paradosso… 

 

Testi di Osho tratti da: And Now, And Here, Vol. 2 #9